Nel primo caso il feto vivrà in un ambiente scandito da un ritmo costante e rassicurante. Nessuna tempesta sonora giungerà ad interrompere la sua continuità d'esistenza. Nel secondo caso, invece, aritmie o tachicardie della madre, rumori intestinali, variazioni pressorie, ecc., costituiranno un universo sonoro ansiogeno e poco rassicurante. Allo stesso modo, la voce di una madre depressa sarà priva di frequenze sufficientemente alte da essere udite dal feto; e questa voce, dopo la nascita, non potrà costituire un continuum con il passato intrauterino, cioé un punto di riferimento già conosciuto, rassicurante, motivante. Nella situazione perinatale, il bambino ha bisogno di essere accudito con una certa tempestività. Le necessità fisiologiche non soddisfatte costituiscono per lui una fonte di angoscia incontenibile. Inizialmente, incapace di preconizzare il soddisfacimento che comunque si attuerà di lì a poco, stimoli come ad esempio quello della fame o il bisogno di essere pulito evocheranno in lui presagi di morte che interromperanno la continuità del suo esistere. Se queste frustrazioni non saranno troppo frequenti e non si protrarranno troppo a lungo, poco per volta questo piccolo bambino imparerà a contare sulla soluzione, a sperare nella collaborazione dell'adulto, a mettersi in una posizione di fiducia nei confronti dell'altro. Per questo possiamo dire che lo stile di accudimento dell'ambiente-madre nei primi momenti d'esistenza dell'essere umano andrà a costituire lo stile relazionale, e quindi poi anche il comportamento sessuale adulto. Ma se tale senso di fiducia nell'altro non potrà prendere forma, diventato adulto il soggetto non saprà ritrovare, dentro di sè interiorizzata, questa fiducia che non ha sperimentato nella sua relazione primaria e che tenderà a non scorgere in nessun rapporto.
Appare evidente a questo punto come la madre che avrà problemi di interazione familiare e sociale, pressata dai propri bisogni e dal proprio malessere, non avrà spazio interiore per sintonizzarsi coi reali bisogni del figlio ma, anzi, cercherà di usare questo figlio per soddisfare le proprie esigenze insoddisfatte e lo costringerà nell'orbita estraneante e spersonalizzante delle proprie motivazioni.
Il momento della frustrazione non può mai comunque essere del tutto eliminato dall'esperienza del bambino piccolo il quale verrà ad avere nei confronti di tale ambiente-madre uno stato d'animo sempre ambivalente, contraddistinto da sentimenti di riconoscenza e di amore ma anche da sentimenti di rabbia e di odio violenti ogni qualvolta egli non viene compreso e soddisfatto nelle proprie esigenze immediate. E il bambino sognerà di esprimere il proprio amore e il proprio odio, per la madre prima e, poi, per l'ambiente familiare che andrà delineandosi alla sua percezione, attraverso quelle che sono le sue reali esperienze costituite essenzialmente dalla propria realtà corporea, dalle funzioni del proprio corpo. Ad esempio, potrà immaginare di incorporare attraverso la bocca la propria madre grande e potente, per tenerla vicina, dentro di sè; ma anche per acquisirne la forza, oppure per distruggerla. Questa modalità la ritroviamo tale e quale nel suo significato emotivo profondo, sia positivo che negativo, anche nell'adulto, quando ad esempio una madre dice al proprio bambino, o degli amanti si dicono, "ti mangerei". E questo il fondo é il senso di tutte le effusioni espresse attraverso la bocca.
Il bambino piccolo (e anche l'adulto) si aspetterà poi dalla propria madre lo stesso tipo di trattamento orale; e nella misura in cui prova sentimenti positivi attribuirà alla propria madre sentimenti ed intenzioni positive nei confronti del proprio corpo; nella misura in cui proverà desideri distruttivi, attribuirà identiche intenzioni di rappresaglia anche alla propria madre. E questo accade parimenti nella relazione d'amore.
Questa modalità orale del contenere simbioticamente o del distruggere e dell'espellere, dell'allontanare da sè, la ritroviamo riferita a qualsiasi altra funzione corporea, da quella intestinale a quella uretrale, a quella muscolare, a quella sensoriale. Il bambino cioè prova la propria capacità e la propria voglia di mantenersi in una situazione di dipendenza o di sperimentare le proprie possibilità di autonomia, imparando il controllo sfinterico, trattenendo o espellendo le proprie feci. Oppure afferrando o allontanando da sè gli oggetti, aprendo e chiudendo gli occhi, accogliendo cioè le immagini o escludendole dalla sua percezione. Per questo l'intero corpo, in ogni sua parte e in ogni sua funzione, verrà investito di un significato relazionale giocato tra bene e male, tra amore e odio, tra autonomia e dipendenza, tra distanza e avvicinamento.
Perchè il bambino possa imparare a gestirsi il proprio bisogno di distanza e di avvicinamento, occorrerà che l'ambiente familiare non gli imponga pressioni particolari in uno dei due sensi, che lo lasci libero di sperimentare. Ma molto spesso questo non accade. Spesso il figlio viene vissuto come una necessaria fonte di gratificazione (cioè come un oggetto e non come un soggetto) per genitori che, incapaci di cogliere nella loro relazione la necessaria gratificazione, incapaci di alleanza reciproca, incapaci di darsi piacere, spesso anche in senso sessuale, ricercano l'un contro l'altro armati, l'alleanza con il figlio che dovrebbe, novello Paride, assegnare all'uno o all'altro la palma della vittoria, la patente di genitore buono e giusto. Il figlio invece di diventare depositario della creatività reciprocamente fecondante dei genitori, verrà preso in mezzo in una lotta senza quartiere e senza scampo. I genitori, impegnati a mistificare la loro realtà interiore, non offriranno a questo figlio, interamente asservito alla loro conflittualità, nè gli spazi necessari per sperimentare la propria realtà esistenziale, nè le parole che gli sarebbero indispensabili per esprimere la propria realtà interiore. Questa realtà interiore, infatti, se venisse espressa, conterrebbe anche la verità circa le motivazioni egemoniche dei genitori. Questa verità, dunque, deve rimanere inespressa, affinchè i genitori non debbano gettare finalmente la maschera.. Nella relazione d'amore ciascuno di noi cerca di far emergere dentro di sè, ogni volta, l'oggetto buono interiorizzato, ovvero tutti i buoni sentimenti che noi siamo capaci di provare (e che ci rimandano proprio a quella primaria esperienza con la madre), che ci permettono ogni volta di riconciliarci con il mondo e di ritrovare quindi la dimensione creativa, cioè la dimensione dell'amore, la sola che ci può motivare alla conoscenza, alla crescita, alla costruzione di qualcosa. Se quell'esperienza primaria con i propri genitori ha bloccato questa possibilità di far sorgere dentro di noi il momento dell'amore (che non deve essere confuso con il sentimento di dipendenza dall'altro), se ha bloccato la possibilità dell'incontro con l'altro, bisogna riprendere di lì il discorso per restituire alla coppia quella necessaria fiducia reciproca senza la quale non ci può essere nè affetto, nè reale relazione erotica.
Laura Grignola -psicoterapeuta
pubblicazione del 1987
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