Fino a qualche tempo fa si riteneva praticamente inevitabile che ognuno di noi, con l'avanzare degli anni, dovesse rassegnarsi a sopportare i cosidetti «dolori reumatici od artrosici» dato che non si riuscivano ad intravedere sussidi terapeutici che potessero arrestare, e meno che mai ridurre, quelle alterazioni anatomiche, di per sè irreversibili, che il processo artrosico sempre comporta.
Tali alterazioni (ossee e cartilaginee) venivano infatti ritenute le principali colpevoli della vivace sintomatologia algica articolare.
Negli ultimi anni, grazie alle esperienze congiunte di neurologi, neurochirurghi, fisiatri, ortopedici, medici sportivi ... l'attenzione si è spostata, dalla patogenesi «meccanica anatomia» (becchi osteofitosici, discopatie, e talvolta ernie discali) alla eziologia funzionale o meglio «disfunzionale».
La degenerazione artrosica, fisiologica ed ineluttabilmente ingravescente, non bastava più, infatti, a spiegare la notevole percentuale di pazienti che lamentavano vivaci sintomatologie dolorose ma presentavano quadri radiologici praticamente normali.
Per contro è esperienza comune il frequente riscontro di colonne vertebrali «disastrate» dal punto di vista radiologico in pazienti che mai avevano accusato, nè accusavano, rachialgie; spesso invece si riscontravano quadri a tipo lombasciatalgico o cervico brachailgico senza poter dimostrare, con le moderne tecniche strumentali, compressioni radicolari di alcun tipo.
D'altra parte non si potevano ignorare i notevoli miglioramenti e talvolta la totale restitutio ad integrum che i medici specialisti fisiatri, specie all'estero (Maigne, Caillet, Bourdillan ... ) ottenevano su tali forme morbose. Ciò testimoniava, con tutta evidenza, che il primum movens patologico non poteva essere identificato in un processo irreversibile (e quindi, per definizione, non suscettibile di alcuna modificazione se non aggravativa).
Attualmente si ritiene che la stragrande maggioranza delle sindromi algico disfunzionali. (cioè dolori e limitazioni articolari) sia da imputarsi a complessi fenomeni di retrazione, flogosi e fibrotizzazione delle diverse componenti molli periarticolari (muscolari, tendinee e capsulari, legamentose) .
Tale patologia, difficilmente aggredibile farmacologicamente una volta trascorsi i primi 10-15 gg dall'inizio della sintomatologia, è però riconducibile alla normalità, o almeno ad un innegabile e deciso miglioramento, con le moderne tecniche riabilitative fisiatriche (da chiarire subito che tali tecniche hanno poco da spartire sia con la cosidetta «chiropratica» sia con quella che è la «fisioterapia» comunemente intesa tipo Marconi - Radar - Ultrasuoni ... ).
Nei casi non integralmente risolvibili, i risultati terapeutici possono essere conservati per periodi notevolmente lunghi (anche quattro, cinque anni) qualora venga correttamente impostato e regolarmente eseguito, un programma di ginnastica medica «ad personam». Altri pazienti preferiscono invece (o vi sono costretti da ritmi di vita particolarmente impegnativi) attendere le primissime avvisaglie per sottoporsi ad un nuovo ciclo terapeutico, generalmente brevissimo dato che l'organismo non ha ancora potuto instaurare falsi equilibri funzionali vicarianti.
In sintesi, la patologia «minore» (non fratturativa o lussativa) a carico dei vari segmenti articolari intervertebrali e delle altre articolazioni, può e deve essere affrontata farmacologicamente, purchè con grande tempestività e moderazione (ad evitare le frequenti complicanze specie a carico dell'apparato gastroenterico) soltanto al primo episodio.
Una recidiva rappresenta già la spia di una patologia disfunzionale, inevitabilmente avviata al coinvolgimento di altre strutture, che sarebbe bene aggredire il più rapidamente possibile, mirando al ripristino globale della situazione funzionale fisiologica, più che alla semplice analgesia farmaco logicamente e/o strumentalmente indotta od alla temporanea quiescenza di una soltanto delle varie componenti in gioco.
Carlo Zorzi
Fisiatra -Med. Leg. Assicurazioni
Pubblicazione del 1985
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