ALLE ORIGINI DELLA SIFILIDE

Mercoledì 12 Aprile 2006 10:20
Stampa
Se i conquistadores che viaggiano verso l'America portano con sé, oltre ad animali e piante europei, l'arma più micidiale che possa esistere, cioé i germi patogeni, che nel giro di pochi anni falcidiano milioni di indios, privi di immunità acquisite per malattie a loro sconosciute, anche gli amerindi pare trasmettano una malattia nuova per gli europei: la sifilide.
La malattia probabilmente giunge in Europa dall' America già dopo il primo viaggio di Colombo anche se in forma epidemica compare negli anni successivi alla Conquista.
A partire dal XVIII secolo avrà inizio al riguardo una diatriba tra coloro che confermano la tesi già sostenuta dagli europei della fine del Quattrocento, cioé che la sifilide sia una malattia sconosciuta agli abitanti della vecchia Europa fino alla scoperta dell’America, e coloro che, al contrario, ritengono che la lue venerea sia un morbo in qualche modo già presente nel Vecchio Continente. Comunque i contemporanei di Colombo e gli europei dei due secoli successivi la ritengono per lo più una malattia nuova e, dopo alcune incertezze, ne attribuiscono la provenienza al Nuovo Mondo.
Fin dal principio la malattia desta particolare interesse e curiosità; se ne occupano cronisti, letterati e medici; si cercano avidamente cause ed effetti; si discute se sia o meno un morbo nuovo e come lo si debba chiamare. Su quest'ultimo punto sono tutti d'accordo: deve essere un nome che allontani da sé l'immagine della calamità e la proietti su altri, sui vicini, o meglio, sui nemici. Così gli italiani lo chiamano "mal francese" o il male di Bordeaux o il male spagnolo, i polacchi il "male tedesco", i russi il "male polacco", i turchi "il male dei cristiani".
La denominazione più fortunata resta però quella di "mal francese", che oscura anche gli appellativi che traggono ispirazione da manifestazioni esteriori (papule o pustole) o dal nome dei santi invocati per ottenere la guarigione (san Giobbe, san Lazzaro, san Dionigi).
A Fracastoro, che si occupò del nuovo morbo, si deve il nome scientifico sifilide, mentre a Femel, noto medico francese, quello di lue.
Al pari di altre malattie contagiose la sifilide colpisce l'immaginazione e stuzzica l'intelletto. Le testimonianze coeve sono numerosissime. Chi sa non trascura di darne notizia; i medici si interrogano sulla natura e origine del male e, insieme alle cause, cercano i rimedi; gli storici lasciano memoria di raccapriccianti sintomi e di terribili conseguenze; e c'é chi trae ispirazione per comporre versi. Ma all'epoca usava.
In letteratura
Il Poliziano scrisse una composizione poetica nota come Sylva in stabiem, nella quale descrive una malattia di cui forse egli soffrì e che potrebbe essere la sifilide. Certamente di lue venerea parla Antonio Camelli detto il "Pistoia" in alcuni sonetti nei quali descrive la malattia in tono scherzoso ma veritiero, anche se la composizione più famosa resta quella di Girolamo Fracastoro: Syphilis seu morbus gallicus, pubblicata nel 1530 a Verona. Più tardi Shakespeare in una famosa commedia immaginerà che un personaggio abbia placche sifilitiche sulla lingua.
Paradigmi comuni caratterizzano le prime descrizioni della sifilide. I testimoni la dicono morbo nuovo e sconosciuto, difficile da sanare, doloroso e repellente, contagioso e venereo.
Le terapie
Al principio i medici non conoscono l'infezione e non sanno come curarla, ma ben presto iniziano a riconoscerne i sintomi e a tentare le prime cure con il mercurio oppure con il "legno santo" o guaiaco, un legno arrivato dall' America e da molti ritenuto utile nella cura del mal francese. In realtà il guaiaco non serve nella cura della sifilide, mentre il mercurio giova, ma nelle giuste dosi. All'inizio i medici ne somministravano dosi eccessive facendo morire i pazienti tra tormenti atroci. Soltanto verso il Settecento si arriverà a capire che il mercurio rappresenta per la sifilide il corretto medicamento, a patto che venga dato nelle giuste dosi.
Il morbo importato dall' America?
Ben presto anche l'idea che il morbo sia stato importato dall' America trova molti sostenitori, soprattutto dopo le numerose testimonianze di coloro che nei primi decenni del Cinquecento parlano della malattia per averla curata oppure di quei viaggiatori, naturalisti e medici che si recano in America e quando tornano descrivono la malattia e sostengono la sua origine americana (teoria americanista).
Ruy Diaz de Isla é autore di un libro, Tractado contra el mal serpentino que vulgarmente Espana es lamado bubas, pubblicato nel 1539, ma relativo ad avvenimenti successi molti anni prima, nel quale narra di aver curato a Barcellona nel 1493 alcuni marinai di Colombo affetti da una malattia strana e misteriosa come lo sono i serpenti, e che identifica con la sifilide. Secondo il medico spagnolo, il male trae origine dall'isola Hispaniola dove approdano i primi navigatori, i quali, contagiati, trasferiscono la malattia in Spagna; da lì il morbo si diffonde in tutta Europa e nel resto del mondo. Anche Bartolomè de Las Casas, autore della famosa Historia de las Indias, pur avendo scritto la sua opera molto tempo dopo l’inizio della grande avventura oceanica, è nelle condizioni di fornire notizie attendibili.
Egli riferisce che gli indios alla sua domanda se la sifilide fosse presente prima dell'arrivo degli europei gli avevano risposto che il morbo esisteva nei loro territori fin dalla notte dei tempi.
Come Las Casas, Gonzalo Fernandez de Oviedo é un altro testimone attendibile. Sia nel Sumario, scritto precedentemente, che nella poderosa opera Historia General y Natural de las Indias, parla della sifilide e di quel famoso guaiaco o legno santo usato come rimedio dagli indios e ben presto impiegato anche dagli europi. Sulla questione se il morbo provenga realmente dalle Indie, egli non ha dubbi: la sifilide è originaria Del Nuovo Mondo e dalle Terre appena scoperte arriva anche il farmaco per la cura del male, cioé, come s' é detto, il legno santo, nel quale europei per alcuni secoli ripongono una grande fiducia. Un'altra fonte citata dai sostenitori dell' origine americana della lue venerea sono le Historie attribuite a Fernando Colombo, figlio del famoso Navigatore, il quale ricorda come Cristoforo Colombo, in occasione del secondo viaggio, entrato all’Hipaniola e recatosi nel villaggio che nell’isola avevano costruito gli Spagnoli rimasti in America dopo il primo viaggio, avesse appreso che molti erano morti e altri giacevano ammalati di mal francese. Ma forse più interessante della precedente è la relazione di Fray Ramon Pane, il quale, nelle Histirie da lui scritte riferisce una leggenda indiana la quale, riportando la vicenda di un eroe locale colpito da sifilide dopo essersi sollazzato con una donna, dimostrerebbe la presenza della sifilide presso il popolo arawak e, quindi, l’esistenza del treponema pallidum in America certamente prima dell’arrivo di Colombo. Naturalmente quanto detto fin qui non vuole sostenere acriticamente la teoria americanista, tanto più che le tesi prodotte dai suoi difensori possono essere confutate. Infatti gli argomenti prodotti dagli "americanisti" non dimostrano che l'agente eziologico della malattia non potesse esistere in Europa prima della scoperta dell' America, seppure in forma più tenue. Purtroppo la discussione intorno all' origine della sifilide é destinata a durare; le teorie formulate nel nostro secolo non spostano, infatti, di un centimetro la questione. Hudson, Hackett, Cockburn, Grmet propongono soluzioni interessanti, ma nessuna si presenta assolutamente incontestabile.
Mentre é cosa certa che gli uomini del Rinascimento la dicono malattia nuova e non tardano ad attribuirne l'origine all'America. Forse che il Nuovo Mondo non avrebbe potuto rispondere al Vecchio che gli aveva portato, tra gli altri morbi, il micidiale vaiolo?

Grazia BENVENUTO -Università di Genova
pubblicazione del 1998