L'UOMO FRA PATOLOGIA E DESIDERIO

Mercoledì 12 Aprile 2006 12:56
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La psicoterapia è quasi sempre una specie di ultima spiaggia: indagini più o meno approfondite di carattere medico non hanno dato i risultati voluti e quindi si sperimenta anche questa possibilità. A questo punto nasce la prima difficoltà: la sessualità, nell'uomo, è il veicolo privilegiato per manifestare un disagio, (lo stesso disagio che le donne descrivono in termini di relazione) e questo disagio è identificato generalmente soltanto come un malfunzionamento di un certo organo del proprio corpo.
La speranza è che "messo a posto quello" tutto possa essere risolto.
Bisogna quindi cercare di spostare l'attenzione, da un disturbo preciso e particolare, a tutto il mondo di relazioni emotive che sembrano avere sempre meno spazio nella vita di tutti noi sempre impegnati ad ottenere risultati strabilianti in tutti i campi, dal lavoro agli affetti. E questo non è un lavoro che si può effettuare in alcune settimane. Questa corsa al successo a tutti i costi, e nel minore tempo possibile, toglie spazio alla vita affettiva, la relega ad una dimensione di "prestazione", in sostanza la priva di tempo, interesse e investimento emotivo.
È a questo punto che viene il dubbio che oltre al problema evidente di carattere sessuale ci possa essere dell'altro: ci possa essere ad esempio un problema legato al desiderio.
La mancanza di desiderio sembra essere la cosa che più spaventa un uomo: "figuriamoci se non ne ho voglia ... ". Viene quasi da dire, ritornando alle parole del titolo, che molto spesso si evidenzia un autentico desiderio di una patologia che investa in esclusiva un organo- anche se un po' imbarazzante - piuttosto che il pensare di essere una persona (non dimentichiamoci che stiamo parlando di maschi!!) che non sente in "sufficiente" misura il desiderio di soddisfarsi e/o soddisfare sessualmente la propria compagna.
Accade, allora, che lo spirito con cui ci si rivolge allo psicologo è, quasi sempre, lo stesso con il quale ci si affiderebbe ad un medico - chirurgo: egli opererà nel migliore dei modi e, asportando o curando la parte malata, risolverà il problema in un periodo di tempo misurabile in giorni o in poche settimane.
Se, invece, ci si comincia ad interrogare sul desiderio, sull'interesse, in sostanza sull'affettività e sull’ emotività nella relazione col partner, tutto il castello di certezze concrete e materiali che abbiamo costruito rischia di crollare, e questa è una eventualità che si cerca in tutti i modi di escludere.
Affrontare questi temi non è facile, può risultare doloroso, può risvegliare il ricordo di paure passate: si può provare una paura terribile di non essere accettati, si può temere di essere costantemente sottoposti ad un giudizio implacabile, si può essere letteralmente terrorizzati di essere abbandonati magari proprio dalla persona che si ama di più soltanto perché si è in difficoltà e non si riesce ad avere la speranza di affrontare un problema.
Con questo non voglio dire che la mancanza di desiderio (o la patologia del desiderio che dir si voglia, perché si parla diffusamente anche di questo su numerose riviste, con annessa soluzione più o meno immediata con un bel viaggio, ad esempio), sia il problema da affrontare: la mancanza di desiderio riporta a temi importanti e fondamentali dello sviluppo della personalità: il problema dell'identità, il problema della dipendenza, il connesso problema dell'autonomia, dell'autarchia, delle straordinarie delusioni che incontriamo quando non vogliamo affrontare una situazione, e a quelli che sono stati i rapporti più importanti di tutta la nostra vita, in primo luogo al rapporto con la madre.
Anche senza voler riportare tutto alla questione dell' importanza del rapporto con la madre, bisogna però attribuire a questo la sua giusta valenza: il rapporto sessuale, o le sue difficoltà, sono comunque l'espressione di un rapporto con una altra persona, un rapporto che è contraddistinto dal susseguirsi di diverse emozioni: paura, gioia, gratitudine, soddisfacimento, sensazione di essere compresi, il fidarsi dell 'altro e molte altre ancora. Tutte queste emozioni, sono riconducibili alle esperienze che il bambino ha fatto nei primi tempi della sua vita o addirittura ancora a prima.
Inizialmente il bambino non ha che pochi mezzi per esprimere i suoi bisogni (che sono sostanzialmente bisogni affettivi!): ha fame, ha bisogno di essere cambiato, ha freddo ... non è, però, per nulla capace di immaginare che di lì a poco le cose potranno cambiare, che i suoi bisogni potranno essere soddisfatti, non riesce a immaginare di poter aspettare neanche per un secondo perché tutto possa andare a posto. L'intervento della madre sarà, della maggioranza dei casi, tempestivo, anche se non potrà mai essere istantaneo o immediato.
È in questo modo che il bambino, piano piano, impara che si può sperare nell' aiuto di qualcuno d'altro, impara che si può avere fiducia nei confronti dell 'altro.
Impara in sostanza che l'altro non è sempre cattivo o assente.
È questo modo di occuparsi del bambino nei primi momenti dell'esistenza che imprinterà fortemente lo stile della relazione con l'altro e quindi anche il comportamento sessuale adulto; se questo senso di fiducia non è stato sperimentato e quindi non è stato in qualche modo interiorizzato, la persona avrà molte difficoltà a sperimentarlo nelle relazioni adulte e le relazioni sessuali sono assolutamente privilegiate per mettere in evidenza questo genere di problemi.
L'impotenza, l'eiaculazione precoce o anche l'anorgasmia sono modi straordinariamente efficaci per trasmettere odio, rabbia, bisogno, incapacità a chiedere aiuto o comprensione.
È ovvio che non sia possibile che nei primi mesi di vita tutto vada bene, una dose di frustrazione (nella soddisfazione dei bisogni) è normale e fisiologica; questo fa arrabbiare il bambino, lo fa odiare l'oggetto più importante che ha (la madre), queste emozioni "negative" si esprimono con i mezzi a disposizione di un bambino: usa la bocca (per gridare, piangere, immaginare di mordere), in un altro momento "usa" le sue funzioni escretorie per esprimere tutto questo. Ora per superare un modo di teorizzare tutto ciò, che si può riassumere nelle categorie evolutive freudiane di "fasi" (anale, fallica, genitale) può essere utile considerarle come dei modi che via via, il bambino prima e l'adulto poi, adotta per esprimersi: e cioè dei codici attraverso cui esprimere le emozioni.
Si verifica, cioè, che in diversi momenti il bambino utilizza i diversi simboli: il bambino può immaginare di mordere per distruggere l'oggetto che lo sta frustrando, oppure può immaginare di prenderlo dentro di sé (mangiandolo) come se questo oggetto buono e appagante, che è esterno, potesse diventare parte di lui, potesse diventare egli stesso. Cioè effettua questo tipo di operazioni simboliche: "il mondo è meraviglioso perché io non ho fame e sono io che sono così abile da nutrimi da solo". oppure: "il mondo è odioso e estremamente pericoloso se mi scappa la pipì ne approfitto per distruggerlo e affogarlo". È a questo punto che subentra l'importanza della relazione con la madre: se costei lo aiuterà a non utilizzare esclusivamente queste simbolizzazioni in maniera estrema ed immutabile, gli fornirà la possibilità di avere una relazione soddisfacente con la realtà e con gli altri. Una relazione soddisfacente non è altro che una relazione che consideri accettabile (e non vergognoso) il sentire nei confronti dell' altro i più vari sentimenti, ora di dipendenza, ora di autonomia, ora di rabbia (che non è necessariamente omicida), ora di amore.

Mauro DI PIETRO -psicologo - psicoterapeuta
Pubblicazione del 2002