LA CRISI DEL LEGAME DI COPPIA

Venerdì 02 Giugno 2006 12:44
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Andare, o sorella, o fanciulla,
come sarebbe dolce,
laggiù andare (ci pensi?)
a vivere, tu e io!
andare e morire
nel paese che ti rassomiglia!
I soli inumiditi
di quegli inquieti cieli per il mio spirito
hanno l'incanto così misterioso
dei tuoi occhi ingannevoli, splendenti tra le lacrime.
Tutto laggiù è ordine e bellezza,
lusso calma e voluttà.
[…] tutto parlerebbe in segreto alla nostra anima
la dolce sua lingua natia.

C. Baudelaire, Il viaggio

La scelta d'amore dà all'essere umano limitato, mortale ed in stato di bisogno la sensazione di una vera pienezza che cancella le angosce più profonde.
Il soggetto viene ad essere, in quel momento, confermato nel suo valore personale, in quanto oggetto d'amore per l'altro, desiderato e stimato. Anche i sentimenti più penosi legati alle personali paure o alla percezione dolorosa dei propri limiti, improvvisamente diventano meno acuti e crudeli.
Nel chiedere questa conferma del proprio valore all'altro, si tende a riprodurre un certo tipo di relazione di cui si conserva nell' inconscio un modello incancellabile ed una altrettanto incancellabile nostalgia. È abbastanza consueto ricordare come per il bambino le immagini dei genitori assumano, nella più tenera età, le sembianze di esseri eccezionalmente forti e perfetti, in grado di provvedere e sanare, se solo lo volessero, ogni difficoltà, problema o mancanza.
Naturalmente, anche la relazione tra di loro finisce per colorarsi di questa dimensione salvifica e risanatrice.
Certamente con il tempo, e con una non eliminabile sofferenza, si impara quanto tutto questo sia vero sempre solo in modo limitato e parziale.
Tuttavia il desiderio di potere, quasi per incanto e contro ogni logica, attraverso un altro grande e potente, dare vita ad una unione che realizzi la beatitudine sognata, scevra da ogni dolore e limite, continua a mantenere un grande fascino per la mente. In questo senso, il partner può essere scelto perché è simile od opposto ad una figura genitoriale di riferimento e anche il tipo di rapporto che con lui si stabilisce cercherà di mantenere in sé la relazione a suo tempo immaginata tra i genitori.
Già in questo modo è facile comprendere quanto quasi illimitate siano le aspettative nei confronti della persona amata: servirà da appoggio per il personale senso di valore, allontanerà l'angoscia, dovrà rendere di nuovo viva ed attuale la sensazione di una pienezza di vita.
E ancora: egli od ella dovrà rimanere con noi quando lo vogliamo, sparire quando non lo desideriamo più, capirci ancora prima che esprimiamo i nostri desideri. Dovrà, insomma, diventare una cosa sola con noi.
Succede, così, di fare un "sogno d'amore" che coinvolge l'altra persona, sogno nel quale assegniamo ad un estraneo il ruolo del protagonista e valutiamo il suo essere adatto alla parte. Le nostre menti sono piene di personaggi in cerca - non di un autore, perché noi stessi siamo gli autori - ma di attori adatti alla parte. E dunque gli aspetti negativi dell' attore, meno verosimilmente adatti alla nostra rappresentazione, vengono cancellati, negati, scissi; egli si fa carico di tutti i nostri desideri: è lì solo per soddisfarli!
Tutto ciò è relativamente fisiologico nel periodo dell'innamoramento, così come è fisiologico un successivo ridimensionamento, ovvero il prendere gradualmente coscienza che l'altro è un essere umano, di cui occorre integrare nella nostra immagine di lui anche gli aspetti negativi e spiacevoli. La persona in crescita, quindi, trova una simile evoluzione anche nei suoi attori. Persona ed attori, così, riscrivono e recitano nuovi drammi, insieme staccandosi dall' immagine ideale dell'altro ed elaborandone la separazione. Questo permetterà una vicinanza più realistica ed autentica proprio nei confronti di quell'altro che, da invincibile salvatore, potrà mutarsi in amato compagno del nostro viaggio.
Gli individui e le coppie, però, cambiano e possono esservi diversi stadi in questo processo. Ogni momento di passaggio crea tensione a livello relazionale al punto che, a volte, si può avere l'impressione di trovarsi con una persona completamente diversa da quella che un tempo si era incontrata. L'altro non risponde più alle iniziali richieste di coppia, quindi non ci si intende più. La maturazione di uno o di entrambi i partner modifica i delicati equilibri di autonomia e dipendenza reciproca: può non essere più necessario, ad esempio, che l'altro continui ad esprimere bisogni profondi di accudimento che un tempo servivano per rafforzare il personale senso di capacità ed efficacia; può diventare non più sostenibile, d'altra parte, la condizione di chi ha sempre bisogno di aiuto e soccorso.
Spesso la crisi, iniziata in tal modo o in altri, è preludio per la creazione di un nuovo equilibrio, ma qualche volta sfocia nell' impossibilità, da quel momento in poi, di stare ancora insieme. Il momento della disillusione, sempre grande, può anche assumere il senso di irrimediabile catastrofe: quando ci si accorge che l'altro non è l'individuo che si desiderava - semplicemente perché non può esserlo, visto che in lui si sono poste aspettative del tutto personali - si può desiderare di distruggere un oggetto così cattivo e deludente che fa sentire cattivi pure noi.
Anche dall' esterno, però, possono giungere elementi perturbanti: nel ciclo vitale di un individuo e di una coppia sono inevitabilmente presenti varie tappe che segnano il rischio di una possibile crisi. La nascita dei figli e la loro crescita, ad esempio, comportano sempre una profonda rivoluzione nella relazione coniugale. La nascita di un figlio configura l'inserimento di una terza persona e pone fine all’esclusività della relazione: vi è la perdita di una parte della disponibilità dell'altro, tutto ciò comporta il rimodellamento dell'identità della coppia. Anche la crescita dei figli, segnata da varie tappe, ci rimanda a momenti di crisi: l'entrata nella scuola, l'adolescenza, i primi amori ci parlano della ricerca di uno spazio sempre maggiore che i figli chiedono al di fuori della famiglia d'origine, nel loro processo d'individuazione e di separazione dai genitori. D'altro lato, queste tappe mettono la coppia di fronte alla perdita della giovinezza e delle possibilità creative, riproponendo un bilancio delle scelte e degli orientamenti di vita. Un tale cambiamento può sfociare in una crisi del rapporto matrimoniale come crisi di crescita.
Ancora: nel matrimonio, in questi ultimi anni, è emersa sempre più la volontarietà del vincolo coniugale: nessuna scelta è più irrevocabile: lo stare insieme come marito e moglie significa scegliersi ogni giorno. La coppia è orientata al futuro, passa per un rinnovamento quotidiano, dove la possibilità di potersi staccare dall'altro, oltre alla responsabilità che questo richiede, ci dà la misura - attraverso una profonda ed inconsolabile tristezza - della nostra solitudine e della fuggevolezza, instabilità e precarietà di ogni rapporto. Di fronte alla crisi, alla possibilità di separarsi, eventualmente di crescere, allora troviamo l'angoscia che questa possibilità ci dà. La risposta può esprimersi attraverso varie modalità difensive che neghino la crisi stessa o che ne deformino i contenuti. Oppure può essere accolta da una sempre più ampia possibilità di rimettersi ogni volta in gioco per non perdere l'opportunità di instaurare e mantenere con l'altro un rapporto sempre affettivo ed autentico.
Maurizio LO FARO
Psicologo del C.S.T.C.S.

CRISI DI COPPIA: UNA POSSIBILITA’ TERAPEUTICA
Crisi di coppia: può sembrare un'espressione anche troppo sfruttata, ma proviamo a soffermarci sul significato letterale del termine crisi - dal greco krinein, giudicare: giudicare - oltre al significato di condanna che normalmente si attribuisce a questo termine - implica anche formulare opinioni su qualcosa, pensare intorno a qualcosa. In questo caso, sulla coppia.
Scelta e costruita da due individui, per un certo periodo di tempo essa non è oggetto di opinioni e pensieri: il semplice fatto di esistere la rende indiscutibile, e i partner tentano a qualunque costo di mantenere intatta questa condizione iniziale. Questo accade sempre, perché l' idealizzazione costituisce una componente essenziale della capacità di amare: in un autentico stato di simbiosi, gli individui cercano di riprodurre nella coppia la gioia intensa e il senso di onnipotenza sperimentati nel rapporto più importante per ogni individuo, quello con la madre; la coppia nasce, allora, come una sorta di involucro amoroso in cui i limiti tra le due persone sfumano e in cui sembra avverarsi il sogno biblico "Saranno una sola carne".
I benefici che derivano dall'idealizzazione della coppia sono incommensurabili: la coppia è il rifugio sicuro dagli ostacoli e dalle difficoltà del mondo, il male è, dunque, tutto all'esterno e il partner è il più prezioso alleato dell'individuo. È possibile mantenere a lungo questa condizione di "luna di miele": ma inevitabilmente un rapporto che comincia e si sviluppa con premesse così esaltanti prima o poi dovrà fare i conti con la realtà: non è necessario che accadano fatti eclatanti, sono sufficienti piccoli problemi, e improvvisamente si ha la sensazione che tutto non sia più come prima. La delusione è spesso cocente: rinunciare all'idealizzazione dell'oggetto d'amore comporta il riconoscere l'esistenza autonoma dell' altro, ammettere che abbia sentimenti propri, non sempre favorevoli e non sempre prevedibili. E prevale un sentimento di rabbia che sbarra la strada alla maturazione che emerge dopo i momenti di crisi. La crisi diventa, invece, solo ragione di paralisi.
Si apre la strada, a questo punto, alla facoltà di giudizio, intesa come possibilità di pensare e costruire opinioni nuove sull'altro e sul rapporto. Tanto più grande è stata l'idealizzazione iniziale, tanto più è difficile affrontare la crisi, accettando il risveglio di sentimenti critici ed ambivalenti nei confronti dell' altro. Proprio per questo l'idealizzazione non si dissolve istantaneamente: se è troppo doloroso ammettere di non essere magicamente fusi con l'altro, si può tentare di continuare a vedere in lui ciò che si desidera. È un modo per negare l'esistenza autonoma dell' altro continuando a confonderla con la sua immagine idealizzata.
Il tentativo può essere, a questo punto, quello di imputare il cambiamento - o la crisi - a fattori esterni indipendenti dalla volontà del partner:
“Non è lui che è cattivo, è solo il suo carattere, ma lo farò curare, e tutto tornerà come prima”
“Lui è sempre molto buono, un lavoratore instancabile, un buon padre per i bambini…non me ne lamento assolutamente…c’è una sola cosa, è il bere!”
“Non ho rimproveri da fare a mia moglie… c’è solo una cosa , la scarsa pulizia, ma si sa nel suo paese sono tutte così”
“So bene che mia moglie mi ama moltissimo, ma ha un problema: sessualmente è molto tiepida. Lo so che non è colpa sua: dipende dall’educazione ricevuta”
“Ci siamo sempre intesi bene: poi è arrivato un figlio, ma mio marito non ci teneva. Del resto, non ho avuto una buona intesa con il padre”
Sono, spesso, queste le parole con cui le persone si presentano ad una prima consultazione: in questo modo, rifiutandosi di attribuire le ragioni della crisi a se stessi o al proprio partner, trovano la possibilità di proiettare la responsabilità su terzi. È evidente che ci possono essere “molti terzi” per giustificare questi meccanismi: la famiglia dei suoceri, la razza, il bere, il lavoro, la malattia, i figli ...
Ma i tentativi di eludere la propria responsabilità nella crisi possono andare in altre direzioni - pensiamo al caso di una donna che si rivolge al terapeuta dicendo: «Mio marito non è più lo stesso, era sempre disponibile, adesso non c'è mai», per accorgersi in seguito che, forse, non è tanto il comportamento del partner ad essersi modificato, ma è lei ad essere cresciuta e ad aver acquisito una sicurezza tale da non richiedere più soltanto attenzione o protezione da parte dell' altro. Questi esempi ci aiutano a chiarire quanto grande sia il timore di ammettere la realtà di un cambiamento interno e quanto sia preferibile convincersi che la responsabilità della crisi sia da attribuire all’altro, o a condizionamenti esterni. In entrambi casi, la richiesta, nel corso della prima consultazione, rimane invariata: "Per favore, cambiatelo!"
Richiesta, questa, di soluzione magica che nasce dal desiderio di ripristinare l' originaria condizione simbiotica della coppia, negando il processo di individuazione e di separazione a cui la crisi ha dato avvio. Crisi che da un certo punto di vista può essere considerata anche positivamente: è possibile, infatti, accettare di sentirsi separati, diversi dall'altro e capaci di restare soli. Ma di continuare, comunque, a provare amore. In questo passaggio, dall'idealizzazione alla separazione, può esprimersi il carattere più creativo dell'amore. Tutto questo, è evidente, non può avvenire in maniera indolore.
I membri della coppia possono sentirsi confusi e spaventati all' idea di rimettere in discussione le premesse della loro relazione. È in questo momento che la terapia può rappresentare un sostegno per superare l'impasse. Certamente non con risposte magiche, ma offrendo alla coppia uno spazio di ascolto e di riflessione.
Cosa succede in terapia? Le sedute sono condotte da due terapeuti, la cui presenza è importante perché consente ad entrambe le persone di avere un referente a cui richiamarsi e il non sentirsi esclusi durante il colloquio. È necessaria inoltre la partecipazione ad ogni incontro di entrambi i membri della coppia che si impegnano a essere presenti fino al termine della serie di incontri stabilita. Dopo questa fase di incontri, proposta dai terapeuti per affrontare e cercare di sciogliere i principali nodi irrisolti del rapporto, per la coppia si aprono una serie di possibilità:
-è possibile verificare che gli strumenti di comunicazione, acquisiti durante gli incontri, risultino sufficienti per consentire alle persone di procedere nel rapporto con maggiore capacità di ascolto reciproco;
-può accadere che le persone sentano l'esigenza di iniziare un percorso terapeutico personale, perché avvertono l'esistenza di problemi individuali mascherati dalla crisi del rapporto di coppia;
-si può giungere alla conclusione che il rapporto non ha più le basi necessarie per proseguire: in questo caso un ulteriore serie di incontri può aiutare le due persone, soprattutto se hanno bambini piccoli, ad avviarsi verso una separazione meno conflittuale. Infatti, se hanno sperimentato che la vita insieme è troppo penosa, possono però sentirsi sufficientemente legati ai figli da aver bisogno di trovare una comunicazione possibile. D'altra parte, ciò può essere utile anche se non hanno figli, perché è sempre difficile affrontare un divorzio e cancellare un passato che, per quanto difficile, resta comunque molto intenso.
Può emergere, infine, l'esigenza di proseguire la terapia: la coppia, infatti, può scoprire che non desidera separarsi, ma che qualcosa deve però cambiare nella relazione. La possibilità, allora, è quella di intraprendere una terapia psicoanalitica di coppia.
Giovanna CAPELLO
Mauro DI PIETRO
Psicologi del C.S.T.C.S

PERCHE' E' DIFFICILE SEPARARSI?
La crisi del legame di coppia sembra essere diventata un fenomeno tipico del nostro tempo.
Soprattutto molto frequente è il caso di crisi che non si ricompongono. I dati statistici parlano di un costante aumento di separazioni e divorzi, accompagnati da una parallela diminuzione dei matrimoni.
Questi riscontri indicano certamente una difficoltà profonda che attraversa oggi l'istituto della famiglia, dove modalità di rapporto tra uomo e donna, diritti e doveri, equilibri consolidati, sono sottoposti a verifica e a ripensamento.
Il difficile compito di revisione, che certamente interessa la società nel suo insieme, ricade oggi particolarmente sulle singole coppie che sono giunte alla decisione di separarsi.
Tale scelta, presente ormai come l'unica soluzione possibile, si rivela a sua volta fonte di molteplici e non previsti problemi.
Nulla è così facile e rapido come si era immaginato. E questo non solo per le ovvie difficoltà pratiche cui bisogna dare rapida risposta, bensì anche per stati d'animo intensi ed inaspettati che improvvisamente sembrano pervadere tutta la vita.
In effetti, la separazione comporta una sorta di complessa rivoluzione, a volte anche traumatica.
Gli usuali punti di riferimento cui i piccoli e grandi accadimenti dell' esistenza sono legati, subiscono una radicale trasformazione: l'ora dei pasti, le scelte alimentari, i giorni della settimana destinati al divertimento o ai contatti sociali, il momento in cui si esce di casa come il rientro, sino a quel particolare paesaggio visto da quella altrettanto particolare finestra, tutto questo viene inevitabilmente modificato o addirittura perduto.
Ma anche qualcosa di più interiore, una sorta di condivisione di attitudini, di abilità, di tratti del carattere che, nel corso del tempo, sono stati messi in comune, viene sottoposto al taglio brusco della separazione.
Riacquistare la propria libertà, uscire da un legame sentito come non più sostenibile, comporta la concomitante rinuncia ad un orizzonte di riferimento composto anche di elementi strutturanti e positivi e la messa in discussione di una unione con l'altro diventata progressivamente una maniera ormai ritenuta stabile, irriflessa, data per scontata, di essere se stessi.
La separazione coincide, anche bruscamente, con il ritrovarsi soli con i propri "pezzi", con lo scoprire o riscoprire i personali limiti, con la necessità di sostituire o reinventare le parti che sono venute a mancare.
È chiaro come tutto ciò non possa che comportare una esperienza di sofferenza resa, probabilmente, più profonda per il suo aprirsi su un orizzonte ancora ignoto, su un futuro, rinnovato, equilibrio che, però, è ancora da costruire.
In questo contesto, proprio l'insuccesso del rapporto con l'ex partner e la perdita definitiva di esso, se pur desiderata e voluta per certi aspetti, può essere vissuta come la conferma di una profonda e non rimediabile incapacità. In altre parole, se il rapporto con l'altro è fallito, si può pensare che ciò sia avvenuto per propria colpa, a causa delle personali caratteristiche più negative che, alla fine, hanno distrutto tutto in modo irreparabile. E si può dubitare che quelle stesse caratteristiche possano far fallire ogni futuro rapporto affettivo.
Il lutto per la perdita del partner diventa, allora, simbolo di un timore ben più grave: quello circa la propria capacità di saper costruire realmente legami emotivi vitali ed autentici, aperti alla possibilità della gioia e della speranza.
Probabilmente questa è la paura più profonda che coinvolge chi si sta separando.
Quasi inevitabile può sembrare, a questo punto, il tentativo di liberarsi il più in fretta possibile di una condizione così dolorosa.
Gli espedienti sono, in qualche modo, abbastanza conosciuti. Possono consistere nel tentativo di attribuire tutta la responsabilità del fallimento all'ex partner e nel trattarlo, conseguentemente, con una durezza non realisticamente motivata.
Si può anche cercare di ferire l'altro deliberatamente, quasi fosse possibile passargli quello stato di disagio e di malessere che così potentemente si sente agire dentro di sé.
Per altra strada, invece, si può tentare di protrarre il rapporto attraverso il litigio, scegliendo, come motivo di contesa, ogni sorta di elemento legato alla separazione. In questo caso, le destinazione della casa coniugale, oppure l'assegno mensile, oppure ancora, e più tristemente, l'affido dei figli, verranno ad essere catturati ed ingabbiati nel circolo vizioso di discussioni effettivamente chiuse ad ogni tipo di intesa. A ben vedere, i due ex coniugi consolidano il conflitto nel corso del tempo, proprio per proteggersi e per impedirsi di sperimentare sino in fondo tutti quei sentimenti di solitudine, perdita, delusione, che il distacco dall'altro inevitabilmente comporta.
Spesso, con il tempo, gli atteggiamenti estremi hanno modo di essere abbandonati a favore di una maggiore assunzione di responsabilità, sia riguardo a se stessi che nei confronti di quanti nella separazione sono stati coinvolti.
Ma sempre più indispensabile è sentita l'attenzione alla dimensione emotiva che inevitabilmente accompagna il processo di separazione di una coppia e ciò affinché i membri di essa possano uscire da tale esperienza senza essere eccessivamente gravati da sensazioni di negatività e sconfitta, in grado di mantenersi, per sé e per i propri figli, stabili e significativi punti di riferimento.
Nicoletta MASSONE
Psicologa del C.S.T.C.S.

LA COPPIA E LA CONTESA DEI FIGLI
Nei casi di separazione legale, anche consensuale, si assiste con relativa frequenza alla lite dei coniugi circa l'affidamento dei figli.
Le motivazioni di questa contesa non sono quasi mai espresse apertamente, essendo a volte poco coscienti ai coniugi stessi, che però sentono di mettere in gioco molto di sé nella lite per l'affido dei figli, o nell'imporre le proprie idee sulle scelte della loro vita e della loro educazione.
Viene sbandierato da una parte e dall' altra l'interesse del bambino, che è però quasi sempre una idea di copertura di altri motivi più profondi e complessi che partono da molto lontano: per esempio, dalle motivazioni che hanno spinto ognuno dei coniugi a volere questo figlio.
Infatti, per molte donne a volte diventare madre serve a definire la propria identità, per molti uomini un figlio significa la possibilità di continuare se stesso e la propria opera, perpetuando il senso di appartenenza al nucleo familiare di origine, per entrambi a volte avere un figlio vuoI dire viverlo come un prolungamento di sé e perciò perderne l'affidamento sarebbe togliere significato alla vita e mutilare la propria identità.
Durante il processo di separazione, infatti, il ruolo coniugale è evidentemente sottoposto a un grande senso di fallimento, mentre il ruolo genitoriale può uscirne trionfante a patto di ottenere l' affido, perché ciò significa essere riconosciuto come il genitore buono o comunque migliore, e automaticamente definire l'altro genitore come cattivo o in ogni caso peggiore.
L'affidamento assume perciò la funzione di conferma dell' autostima e di definizione del ruolo sociale, diventa un mezzo per affermare la propria validità personale o il proprio spazio di decisione e di bravura, soprattutto attraverso una definizione di non attendibilità dell'altro come genitore.
Ma allora, a questo punto, che cosa significa, per i genitori, per il figlio, per la società, l'interesse del bambino (quello reale, cioè )?
Sembra un dato acquisito dal senso comune che ogni figlio abbia bisogno di entrambe le figure genitoriali, e che, anche in caso di separazione coniugale, egli debba e possa continuare i rapporti già instaurati con ambedue i genitori e con le loro rispettive famiglie, così come sembra scontato che ogni genitore separato abbia il dovere e il diritto di svolgere comunque il suo ruolo anche dopo la separazione e il divorzio.
Forse, però, non ci si sofferma sul fatto che poter fruire di un rapporto reale e vivo con entrambi i genitori permette al bambino quei processi di identificazione e disidentificazione che stanno alla base del proprio senso di identità e della conquista della maturità affettiva e emotiva, cioè, in poche parole, del suo equilibrio mentale.
In ogni situazione familiare, per un bambino, avere rapporti poco significativi con un genitore vuoi dire invalidare o addirittura amputare una parte di sé; per i genitori, fare posto al figlio nella propria casa e nella propria vita, significa accettare cambiamenti continui e rapidi, legati alla sua crescita, alle sue esigenze che si trasformano negli anni.
Lo sviluppo del bambino è caratterizzato dal continuo oscillare tra dipendenza ed autonomia, tra momenti di individuazione, cioè di separazione dagli altri, e di riavvicinamento, persino di fusione, con i genitori, per sentirsi protetto e rassicurato: essere buoni genitori, utili alla crescita di un figlio, significa anche e soprattutto tollerare questa oscillazione tra dipendenza e autonomia per tutto il periodo evolutivo. Se essere genitori disponibili è già difficile in un buon rapporto di coppia, lo diventa ancora di più quando la coppia è in crisi, poiché durante il conflitto coniugale è evidente che i bisogni dei figli restano in secondo piano, dominati dalle dinamiche che intercorrono fra i genitori.
Con la competizione tra marito e moglie diminuiscono l'accettazione e la disponibilità ad accogliere e proteggere il figlio nella sua crescita, a rispettare i suoi tempi nel percorso di esplorazione autonoma del mondo e di ritorno per trovare appoggio e conferma: due genitori arrabbiati e con difficoltà di comunicazione tra loro diventano cattivi interlocutori e sono figure di riferimento profondamente negative.
La possibilità di discutere della propria crisi nell'ambito della Mediazione Familiare, cioè con un "terzo" vertice che ascolta e non si schiera, può permettere di. contenere il conflitto pianificando nelle discussioni tutti gli aspetti pratici, punto per punto, soprattutto con l'obiettivo di ridisegnare la vita propria e dei figli; la figura del Mediatore Familiare può aiutare ad attraversare le rapide della contesa e della rabbia per stabilire una mappa di riferimento tale da far deporre le armi e predisporre una griglia che possa essere di riferimento agli accordi.
In circa tre mesi, con incontri settimanali, si compie il percorso della Mediazione Familiare: lo scorrere del tempo può aiutare ad incanalare le emozioni, consentendo il riattivarsi della comunicazione, questa volta davvero nell'interesse autentico dei figli, che smettono di essere usati come oggetti contundenti, ma vengono considerati come persone, con il loro bisogno di tutti e due i genitori come figure di riferimento per la crescita.
Gisella TROGLIA
Psicologa del C. S. T. C. S.

LA MEDIAZIONE FAMIGLIARE
Obiettivo della mediazione familiare è quello di aiutare i coniugi a negoziare un accordo che riguardi i vari problemi nati in relazione alla decisione di separarsi (affidamento dei figli, assegnazione della casa coniugale, assegno di mantenimento). L'accordo, che sarà sottoposto alla revisione di un avvocato, potrà poi essere presentato al giudice del Tribunale competente per l’omologazione. Tale accordo dovrà rispecchiare le richieste e le esigenze sia dei coniugi che dei loro figli, aspetto questo di estrema importanza poiché solo in tal modo gli impegni presi potranno poi essere effettivamente rispettati.
Se da una parte la mediazione familiare ha, dunque, lo scopo di aiutare i coniugi a dare concreta risposta ai diversi problemi inerenti una separazione legale, è anche vero che per realizzare ciò si dovrà inevitabilmente affrontare il conflitto presente fra i coniugi stessi, tensioni e litigi che altro non sono se non l'espressione di tutte le difficoltà legate a questo particolare evento.
Ci si troverà al centro di una grande varietà e quantità di stati d'animo, emozioni che si mobilitano fra i coniugi e fra i coniugi ed il mediatore. Al mediatore potrà, così, venir richiesto di schierarsi a favore dell'una o dell'altra parte, di esprimere pareri e giudizi sul comportamento del marito o della moglie e sulle sue richieste.
La neutralità del mediatore, in questo caso, ha la funzione di mantenere e garantire un punto di vista più generale, dove i reali interessi delle persone coinvolte nella separazione possano essere ancora considerati e salvaguardati nella loro obiettività. Non si nega il conflitto né si tenta una conciliazione, ma, più semplicemente, si cerca di superare quella situazione di empasse dove le persone, sulla scorta di sentimenti legati alla delusione, al senso di fallimento, alla rabbia, tendono a restare bloccate su posizioni rigide, temendo che l' andare incontro all’ altro possa essere un segno di debolezza, un cedimento di cui poi l'altro approfitterà per attuare una vera e propria sopraffazione.
Con la mediazione familiare, invece, viene offerta ai coniugi la possibilità di non essere prevaricati né di prevaricare: è evidente che il disaccordo di fondo, quello che ha determinato la scelta di separarsi, c'è e continuerà ad esserci, ma è importante che i conflitti più profondi non vadano ad interferire con la possibilità di trovare degli accordi in grado di permettere ad entrambi una riorganizzazione della vita loro e dei loro figli.
Il mediatore familiare non può risolvere i problemi di fondo della coppia, né ripristinare una comunicazione interrotta, ma può sostenere gli ex-partner in ordine a quella inevitabile collaborazione che ancora devono mantenere.
Verificare la neutralità dello spazio della mediazione, la possibilità di non essere prevaricati, contribuisce alla riduzione dei timori e del senso di sfiducia e permette, finalmente, il venirsi incontro per la diminuzione di questioni specifiche che, da questo momento in poi, diventeranno i punti di partenza della vita di un nucleo familiare che ha modificato il suo sistema interno di legami.
Un ulteriore elemento della mediazione familiare che mi sembra innovativo ed importante è rappresentato da quello che possiamo definire con un termine sintetico il "rifiuto della delega". In una situazione particolarmente dolorosa e difficile può nascere il desiderio dell' esistenza di una persona che risolva i problemi al nostro posto, che si assuma la responsabilità delle decisioni da prendere. Il desiderio, in definitiva, di potersi affidare a qualcuno che dica "ci penso io". In questo modo, forse, ci si protegge anche dal rischio di potersi riconoscere responsabili, in qualche modo, della crisi e del conflitto.
La mediazione familiare propone, invece, che siano proprio i coniugi a trovare e proporre delle soluzioni rispetto al loro problema: l'accordo infatti, è della coppia e non del mediatore che assolve solamente un ruolo di facilitatore, di garante degli interessi delle parti, in modo che nessuno dei due si possa sentire più debole o più forte.
In un momento di difficoltà in cui spesso si vive la sensazione del proprio personale fallimento, è senz' altro faticoso sentirsi chiedere di pensare a come si vuole riorganizzare la propria vita e scendere nei dettagli degli accordi.
Sembra, però che questo tipo di richiesta rappresenti un atto di fiducia nelle possibilità dei due ex-coniugi, rispetto alle loro capacità, proprio quando stanno vivendo un momento di sfiducia in sé stessi (in occasioni simili è difficile pensare di poter avere delle capacità, specialmente in senso costruttivo), e contemporaneamente possa dare un segnale rispetto al fatto che la fine della loro unione non rappresenta necessariamente un fallimento personale, bensì ulteriore tappa di evoluzione e di crescita.
Cinzia DELLA CASA
Psicologa del C. S. T. C. S.

C.S.T.C.S. Consultorio
Centro Studi per la Terapia della Coppia e del Singolo
Genova

pubblicazione del 1999