LA CRIOCHIRURGIA

Lunedì 24 Aprile 2006 17:31
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Si è cosi giunti alla conclusione che la procedura che garantisce maggiormente la morte cellulare con la minima possibilità di cellule superstiti è la seguente: una fase di congelamento rapido (raggiungimento di -250 °C in meno di 1') con formazione di ghiaccio intracellulare, una fase di disgelo lento (ritorno alla temperatura ambiente in più di 1') con formazione di ghiaccio extracellulare, e la ripetizione delle due fasi con la realizzazione, in pratica, di un doppio ciclo di congelamento e disgelo. I principali effetti biologici che ne conseguono sono una ridistribuzione delle concentrazioni elettrolitiche intra ed extracellulari, una rottura delle sostanze tampone con alterazione del pH, ed un aumento del volume dell'acqua intracellulare dell'8% (ghiaccio) con conseguente rottura degli organelli intracellulari e della membrana citoplasmatica e definitiva morte cellulare.

Tutti i moderni apparecchi per criochirurgia vengono fabbricati sulla base dei concetti sopra esposti, riconducendosi fondamentalmente a tre modelli: terminale a sonda a circuito aperto, terminale a sonda a circuito chiuso, terminale spray con limitatori.
I gas impiegati sono di due tipi: l'azoto liquido che permette il raggiungimento di -196°C, ed il protossido d'azoto che raggiunge i -890°C. Si preferisce l'impiego di quest'ultimo per l'assenza di rischi e l'impossibilita di recare danni.
Le indicazioni per la criochirurgia a livello cutaneo si riconducono a tutte quelle affezioni di tipo proliferativo con caratteri di iperplasia o neoplasia: ovunque vi sia, in pratica, esuberanza di tessuto e quindi di cellule. Si potrà cosi impiegare nel trattamento degli angiomi (proliferazione di vasi sanguigni) soprattutto quelli cavernosi, molto rossi e rilevati sulla cute; nel trattamento dei nevi (o nei) anche se solo su determinati tipi che andranno valutati di volta in volta dallo specialista; sulle cicatrici ipertrofiche e sui cheloidi; su lesioni squamose ed ipercheratosiche come le verruche volgari (soprattutto del palmo delle mani e della pianta dei piedi), i cheratocantomi, le cheratosi precancerose, il morbo di Bowen ecc.; sui tumori epiteliali di un certo tipo come i basaliomi multipli od in sedi particolari (palpebre, naso, orecchie) ed in ogni caso piccoli ed a limiti ben definiti, o come gli spinaliomi solo quando considerati inoperabili perché ampi, infiltrati od infetti.
Nel caso non sia giustificata una crioterapia si può, quanto meno, eseguire una criobiopsia per poter analizzare istologicamente la lesione asportata, in toto o in parte, dopo congelamento: la metodica ha il pregio di limitare la possibilità di diffusione sia ematica che linfatica.
Le controindicazioni riguardano soprattutto gli angiomi piani ed i linfangiomi, per i quali non si sono avuti finora risultati soddisfacenti; i nevi a rischio; gli epiteliomi a limiti mal definiti, spessi e profondi od in sedi particolari (cuoio capelluto, arti inferiori); le verruche piane giovanili al viso e al dorso delle mani.
La tecnica di esecuzione consiste nell'applicazione di un terminale, collegato all'apparecchio, di forma e dimensioni adeguate, a contatto con la lesione ed esercitando una leggera pressione il più possibile costante; si può inoltre utilizzare la metodica a spray con nebulizzazione del gas direttamente sulla zona da trattare ed impiego di adeguati limitatori di spruzzo per definire con precisione l'area di applicazione. I tempi di esposizione, con protossido d'azoto, variano a seconda della patologia, della zona e della pressione esercitata, ma sono compresi fra i 25°-30° ed i 5'-6'.
Gli esiti normali di una crioapplicazione sono la necrosi della lesione, la formazione di una bolla e successivamente di un'escara (crosta) con distacco di quest' ultima e restitutio ad integrum della cute. Questo processo avviene in circa 15-20 giorni.
Gli inconvenienti della criochirurgia sono principalmente: il dolore, che è peraltro di modesta entità, breve e limitato alla fase immediatamente successiva all'applicazione di ripresa del circolo sanguigno, in quanto durante l'applicazione è il freddo stesso a fungere da anestetico; la reazione infiammatoria con edema che spesso segue nella prima settimana dopo l'intervento; le possibili discromie cutanee con iper - od ipopigmentazione; la rara insorgenza di un "nodulo persistente" sulla zona trattata.
I vantaggi della criochirurgia sono svariati e si possono così riassumere: semplicità di applicazione che è sempre ambulatoriale e veloce; minima tendenza cicatriziale (in pratica non residuano mai brutti segni) possibilità di trattare lesioni multiple contemporaneamente; possibilità di trattamenti successivi senza danni per il paziente; totale innocuità della metodica.

In conclusione la criochirurgia, dall'analisi operata, risulta un mezzo terapeutico con precisi limiti di applicazione, ma che nell'ambito delle sue possibilità rappresenta una tecnica alternativa, se non sostitutiva, alla diatermo - ed alla radioterapia, ed a un valido appoggio alla chirurgia plastica.

 

Franco C. Migliori - chirugo plastico
pubblicazione del 1983

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